Il territorio e le sue chiese

Il centro abitato di Gergei è situato ai confini più settentrionali della nuova Provincia di Cagliari, agli estremi limiti del Sarcidano, tra la Trexenta e la Marmilla, ai piedi della Giara di Serri e del Monte Trempu.

Il piccolo paese, che nel passato, grazie alla sua fiorente agricoltura, doveva avere un’importanza non secondaria in tutto il circondario, si caratterizza per la presenza, al suo interno, di testimonianze architettoniche di un certo rilievo, rappresentate, per la maggior parte, da numerosi edifici di culto.

Nel paese, oltre alla monumentale chiesa parrocchiale gioiello dell’architettura tardo gotica, che forma un tutt’uno con la vicinissima Cappella del Rosario o Chiesa di San Giuseppe Sposo (che si affaccia sullo stesso sagrato), si trovano altre cinque chiese minori, alcune di costruzione anche più antica, tutte di pregevole fattura e di notevole importanza storico – artistica. Numerosi ritrovamenti e alcuni elementi di cultura materiale affioranti nelle campagne circostanti, insieme ai ruderi ancora visibili, testimoniano inoltre la presenza sul territorio di almeno altre quattro chiese campestri, oggi completamente distrutte, ma che fino al XIX secolo erano ancora frequentate dai fedeli, in occasione della festa dei Santi a cui erano dedicate. Queste chiese sono: quella di Santa Lucia e di San Pietro, situate a nord quasi al confine col territorio di Isili; quella Santa Marta e di Santa Maria Maddalena, poste a sud dell’abitato e non molto distanti da esso. 

Numerosi ritrovamenti e alcuni elementi di cultura materiale affioranti nelle campagne circostanti, insieme ai ruderi ancora visibili, testimoniano inoltre la presenza sul territorio di almeno altre quattro chiese campestri, oggi completamente distrutte, ma che fino al XIX secolo erano ancora frequentate dai fedeli, in occasione della festa dei Santi a cui erano dedicate. Queste chiese sono: quella di Santa Lucia e di San Pietro, situate a nord quasi al confine col territorio di Isili; quella Santa Marta e di Santa Maria Maddalena, poste a sud dell’abitato e non molto distanti da esso.

 
La chiesa parrocchiale di San Vito

Dal punto di vista artistico il monumento più importante e più ricco di opere d’arte è la Parrocchiale, dedicata e San Vito Martire, che molti inseriscono in itinerari turistico – culturali e raccomandano di visitare.

Essa denuncia nelle sue forme l’importanza di un edificio che, influenzato inizialmente dalla cultura catalano – aragonese, è andato poi modulandosi secondo concezioni ornamentali più aggiornate nel gusto.

La sua presenza, insieme a quella di altre cinque chiese minori, taluna di costruzione anche più antica, testimonia l’importanza che nel passato aveva il paese in tutto il circondario, grazie soprattutto alla sua florida economia .

Il nucleo principale del monumento, risalente al XIV secolo (fu costruita nel 1328), è costituito da un corpo centrale, con frontale senza timpano e con cornice superiore dentellata, e dalla adiacente torre campanaria a pianta quadrata.

In origine il monumento doveva avere caratteristiche e dimensioni diverse da quelle attuali. Esso, infatti, doveva essere molto simile al Santuario fatto costruire , nello stesso periodo (1323-1326), a Cagliari sul colle di Bonaria dal re Alfonso IV di Aragona.

Il monumento si caratterizza per linee semplici e rigorose, assecondate da una successione di corpi di fabbrica che riassumono, nella loro stratificazione, i vari periodi in cui il complesso architettonico si è definito e formato.

Osservando l’edificio dalla sottostante stradina che conduce alla rustica scalinata prospiciente il piazzale, l’elemento che subito emerge con evidenza è il frontale principale che si affaccia su un interessantissimo sagrato e ancora mantiene alcuni elementi tipici dell’architettura gotico - catalana, diffusasi in Sardegna durante il XVI secolo.

La facciata conserva, infatti, alcuni spunti che possono essere ricollegati al periodo di fondazione della chiesa,  o comunque di formazione del frontale. Tali elementi sono il portale tardo-gotico ed il sovrastante rosone, il coronamento superiore modanato e dentellato, le due grandi lesene laterali e l’adiacente torre campanaria.

La chiesa custodisce al suo interno importantissime e pregevoli opere d’arte, sia pittoriche che scultoree, oltre a innumerevoli oggetti dell’artigianato artistico, tanto da essere considerata una vera e propria chiesa-museo e meritare di essere citata in importanti pubblicazioni specializzate e inserita in molti itinerari turistico - culturali.

Si accede all’interno del monumento attraverso il portale principale che è coronato da una interessantissima bussola in legno finemente intagliato e policromato, databile tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, attribuibile al ricco artigianato sardo di quel periodo.

LA BUSSOLA SETTECENTESCA

La bussola, di pianta quadrangolare, presenta le superfici delle fronti lievemente ondulate, con spigoli smussati  da piatte lesene a fascio, ornate da capitelli compositi e da pendagli floreali. Le pareti sono ornate da intagli a pergamena inscritti in pannelli rettangolari policromati in verde, blu e rosso; la parte superiore è invece occupata da una grande fascia finestrata, costituita da tre serie ondulate di piccoli riquadri vetrati incorniciati da elementi lignei decorati.

La bussola è contornata da una sorta di matroneo o tribuna, che sicuramente nel passato aveva un rituale ben preciso, e può essere raggiunta mediante una piccola porta situata nella parete del campanile.

La tribuna, col parapetto lavorato con la stessa tecnica e la stessa policromia del resto dell’opera, è abbellita nella parte centrale da un paliotto con al centro lo stemma di San Vito, patrono di Gergei.


LA NAVATA CENTRALE

Oltrepassata la bussola, l’impianto planimetrico che subito emerge, di sicura origine tardo gotico, è caratterizzato da una navata principale ripartita in tre grandi arcate a diaframma a sesto acuto, e terminante con il grande arco trionfale a tutto sesto, che la separa dal presbiterio. Questo è situato ad un livello leggermente superiore rispetto al pavimento della chiesa .

Negli interspazi tra arcata e arcata si aprono delle interessantissime cappelle, tre a sinistra e quattro a destra, differenti tra loro e molto probabilmente edificate in tempi diversi, oltre alle grandi e uguali cappelle del transetto poste simmetricamente rispetto alla navata e ortogonalmente a questa.

Mentre le cappelle di sinistra sono caratterizzate da aperture segnate da archi a tutto sesto, quelle di destra evidenziano ancora ciò che doveva essere l’architettura originaria del monumento.

Queste ultime, ed in particolare le prime due, sono di dimensioni molto contenute rispetto a quelle della navata e si aprono su essa con arco ribassato la prima, a sesto acuto la seconda. Entrambe però si presentano con caratteri architettonici, risalenti al periodo tardo gotico, di rilevante pregio e fattura.

La prima cappella, di modeste dimensioni, che originariamente ospitava il gruppo ligneo del “Compianto del Cristo”, è caratterizzata  da un portale ad arco a sesto ribassato con ai lati due lesene terminanti con capitelli a motivi antropomorfi, elaborati superiormente con la tecnica del traforo.


LE CAPPELLE GOTICO ARAGONESI

Fra tutte le cappelle della chiesa, la seconda, dedicata a San Biagio, è quella che presenta le più abbondanti decorazioni; queste infatti ne ricoprono quasi interamente tutte le pareti.

La cappella si apre con un arco a sesto acuto coronato da una serie di nervature modanate, con scanalature a gola dritta e rovescia, impostate su peducci a trattazione vegetale, che poggiano  su una serie di esili lesene a toro terminanti con sottili plinti troco-conici.

La nicchia che sovrasta l’altare, in cui trova posto la bellissima statua di San Biagio, è contornata da una pregevole cornice a festoni di frutta con un cartiglio rovesciato, nella parte inferiore, e una gloria di cherubini in altorilievo nella parte superiore.

La terza cappella, pur conservando gli elementi tipici  dell’architettura tardo-gotica, si evidenzia per una serie di elementi che fanno presupporre l’intervento di maestranze altamente qualificate con influenze arabo-spagnolesche. Questo segno è leggibile attraverso la presenza di due semicolonne tortili sulle quali si imposta l’arco di apertura a sesto acuto.

La cappella è coperta da una bellissima volta a crociera, con nervature in conci in evidenza, e quattro archi generatori a sesto acuto che chiudono con l’incrocio di nervature esagonali, senza la tipica gemma pendula di chiusura.

Al suo interno si trova, oltre ad un grande crocifisso, l’urna in vetro contenente “L’Assunta” di ignoto scultore napoletano del XVIII secolo. Si narra che il simulacro della “Vergine” sia stato acquistato dalle monache Cappuccine, alle quali era stato donato dalla Regina Maria Teresa di Savoia.

La successiva cappella, all’interno della quale si trova uno degli episodi artistici più rilevante del monumento, si apre con un arco ogivale, ornato da pronunciate modanature a toro decrescenti, che si scarica su una serie di capitelli riccamente scolpiti raffiguranti figure di mostri, animali e fogliame vario; tali capitelli poggiano su pilastrini polistili terminanti inferiormente con plinti listellati e modanati.


IL COMPIANTO DEL CRISTO MORTO

La cappella ha al suo interno un’opera d’arte sicuramente singolare rispetto a tutto il panorama delle opere d’arte in Sardegna: si tratta di un “Compianto del Cristo morto” ottenuto attraverso una composizione che riassume in sé tutti e tre i rami del fare artistico. L’opera è infatti un’architettura in quanto ha una spazialità ben precisa attraverso una semi cappella all’interno della quale sono posizionate delle statue lignee che determinano la scena drammatica; una rappresentazione scultorea in quanto composizione di diversi elementi statuari; ed infine un’opera di pittura per la presenza della terza componente, quella pittorica appunto, in quanto tutto è trattato in maniera policroma attraverso il colore.

La presenza del complesso scultoreo costituisce una testimonianza rara  ed importante della scultura catalana – aragonese in questo genere di espressione artistica in Sardegna.

Il gruppo ligneo, di ignoto intagliatore spagnolo, è databile intorno alla prima metà del XVI secolo. Essa è stata collocata nell’attuale sito nel 1735,  data che si può leggere in alto sul baldacchino della cappella lignea che lo accoglie.  Questa risulta finemente decorata, con sole e luna, legati simbolicamente alla croce, sotto un celo stellato.


LE CAPPELLE RINASCIMENTALI

Sul lato sinistro della navata si affacciano tre cappelle che sicuramente segnano un periodo storico più recente.

Esse, infatti oltre ad aprirsi attraverso degli archi a tutto sesto usando modi ed elementi tipici di un linguaggio già  rinascimentale,  possiedono delle cornici modanate che utilizzano un repertorio desunto prevalentemente dal classicismo e riscoperto appunto dal “Rinascimento”, che in Sardegna incomincia a farsi sentire solo nella seconda metà del secolo XVII.

La prima cappella, di dimensioni modeste, si apre con un arco a tutto sesto realizzato con conci squadrati che poggiano su due cornici modanate poste sopra i piedritti laterali; le cornici proseguono all’interno facendo da base alla volta a botte. Al suo interno si trova il fonte battesimale costituito da una vasca in marmo policromato su cui poggia un padiglione in legno con raffigurazioni, tra le quali il Battesimo di Gesù, realizzate con la tecnica dell’incisione e fuoco.

La seconda cappella, tra le più grandi per spazialità e luminosità, si apre con un grande arco a tutto sesto contornato da una serie di modanature concentriche tra le quali sono disposti un susseguirsi di conci con in mezzo delle punte a forma piramidale a base quadrata. L’arco scarica su due pilastri di sezione rettangolare terminanti, all’altezza del piano di imposta, con una cornice modanata e aggettante che si prolunga all’interno dove, ai due lati, fa da base alla grande volta a botte a tutto sesto.

Recentemente all’interno della cappella è stato posizionato il bellissimo organo settecentesco realizzato dalla pregiata bottega milanese dei Lazzari.

La terza cappella si caratterizza per la ricchezza di preziosità architettoniche, che confermano la tendenza al riuso di elementi classici; in essa si nota ancora la volta stellare aragonese, tipica di una cultura elaborata e matura, chiusa da una serie di arcate diagonali e dalle componenti di raccordo segnate da quattro gemme pendule che individuano le chiavi di serraglio della volta medesima. Sul fondo l’altarino con la statua della Madonna  del Rosario.


IL TRANSETTO

Il transetto è segnato da due archi trionfali a tutto sesto perfettamente identici, elaborati in maniera scultorea con una successione di sette elementi a medaglione, in pietra calcarea, raffiguranti, in bassorilievo, fiori e figure sataniche e un coronamento superiore in stucchi a motivi floreali.

L’elemento più importante, anche per la posizione che esso ha nell’edificio, è l’arco trionfale a tutto sesto, ornato di rosoni ed impostato su capitelli polistili; esso aprendosi sul presbiterio ne evidenzia tutta la spazialità.

Alla sommità, in corrispondenza della chiave dell’arco, si rileva  un grande cartiglio, racchiuso da ampie volute con in cima un putino cherubino,  che reca al centro una colomba simbolo dello “Spirito Santo”.

Dal cartiglio, lungo l’arco, si diparte un ricco festone di fiori e frutti ed in alto, su i due lati, una serie drappeggi a frange sostenuti da due cherubini sotto i quali una leggiadra raffigurazione della “Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine”. Sulla sinistra la Vergine inginocchiata che si volta alla vista dell’Angelo, sulla destra un bellissimo Cherubino festante che annuncia alla Vergine il mistero della nascita del Cristo.


IL TRANSETTO E LE OPERE MARMOREE

Il presbiterio è caratterizzato da una considerevole spazialità determinata da una forte espansione verticale  dovuta alla grande cupola ottagonale che la sovrasta.

L’imposta della cupola è ottenuta grazie a quattro elementi di raccordo (scuffie), caratterizzati al loro interno da altrettanti motivi scultorei, di grande rilevanza artistica, rappresentanti i quattro evangelisti.

L’altare maggiore, posto al centro del vasto presbiterio sotto la grande cupola, è il punto di focalizzazione dell’intero complesso e l’elemento che riequilibra la spazialità di tutto il vano. Esso fu eretto nel 1760 ed è interamente rivestito in marmo trattato mediante l’incastonatura policroma di elementi decorativi tipici del periodo tardo – barocco.

Una serie di scalini ed una balaustra in marmo intarsiato , posta sotto l’arco trionfale , delimitano la navata centrale dal presbiterio.

Dello stesso periodo, 1786, è pure il bellissimo pulpito, posto tra la terza cappella e il transetto, retto da un  alto piedistallo in marmo sagomato a balaustra con due grosse volute che vanno progressivamente restringendosi verso l’alto fino a generare una sorta di capitello con pulvino superiore,  sul quale si adagia l’ambone.

Questo è costituito da una serie di pannelli con intarsi di marmo policromo: il pannello frontale, delimitato da due lesene con capitello, riporta in bassorilievo l’effigie di San Vito racchiusa da una pregevole cornice, con volute barocheggianti, terminante superiormente con un cartiglio a forma di conchiglia.


IL GRANDE RETABLO DI ANTIOCO MAINAS

Nel presbiterio si trovano, oltre all’altare maggiore, alcune opere d’arte di importantissimo valore artistico ed una pregevole cantoria lignea che cinge il presbiterio stesso lungo i tre lati.

Questa è costituita da una serie di ventiquattro stalli tutti uguali, oltre a quelli d’angolo, sistemati in serie di sett ai due lati dell’altare e in due serie di cinque sulla parete posteriore; tra queste ultime due serie, al centro del coro, è collocato un tronetto, di colore verde, coperto da un leggiadro baldacchino.

Sulla parte sinistra del presbiterio, dal lato del vangelo, può ammirarsi il grande retablo della “Dormitio Virginis”, politico a tempera e olio su tavola, attribuito  a Antioco Mainas (1540), artista di scuola locale fortemente influenzato dalla “Scuola di Stampace” e dai suoi maggiori esponenti che furono i Cavaro.

Quest’opera pittorica, ancorata a forme iconografiche attinte dalla tradizione “quattrocentesca” italiana, dipinta ad olio su tavole circondate da cornici in legno intarsiato e dorato, rispetta la tipologia delle grandi pale sardo – iberiche, strutturate a doppio trittico, di sei o di otto scomparti con predella a cinque riquadri. Il retablo di Gergei può essere riassunta in quattro elementi di rilievo: i primi tre superiori con ripartitura verticale ed il quarto, che funge da basamento a tutta la struttura, con ripartizione orizzontale.

Nella parte alta l’opera si presenta con uno schema ripartito costituito da una doppia serie di tre formelle raffiguranti: a sinistra l’Annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine, la Natività di Gesù e l’Adorazione dei Magi; a destra la Resurrezione del Cristo, l’Ascensione e la Pentecoste.

Le due figurazioni principali, poste al centro, rappresentano la Crocifissione e la Dormitio Virginis, esse sono in scala pittorica più ampia per evidenziare la maggior importanza dei contenuti in esse riportate.

La parte bassa è costituita invece da una sequenza di cinque scene, combinate a due a due rispetto a quella centrale, nelle quali si può notare una certa continuità di spazi e di effetti cromatici che paiono quasi superare la debole ripartizione ottenuta con cornici dorate lavorate al traforo.

Questo particolare pone in evidenza come l’autore, riuscendo a riunire le figure attraverso una notevole spazialità ed una profonda luminosità, abbia già superato i canoni tipici dei politici tardo – gotici e risenta di un qualche influsso della pittura rinascimentale.

L’opera infatti, pur non rinunciando agli elementi decorativi e strutturali della scuola spagnoleggiante, mostra tuttavia la tendenza a ridurre al minimo l’effetto decorativo del contenuto per dare più importanza alla scena ed ai personaggi in esso raffigurati: per dare più importanza alla pittura vera e propria.

Questi elementi nuovi sono più evidenti nelle scene centrali dove si nota una certa presa di coscienza, da parte del pittore, di quella che è il significato drammatico della rappresentazione; una valutazione prospettica di uno spazio pittorico che va al di là del linearismo gotico. La linea che prima contornava la figura e la schiacciava dandole effetti bidimensionali comincia a scomparire lasciando il posto al panneggio, allo sfumato, al degradare dei contorni che danno più resa plastica e maggiore spazialità alla figura contenuta nel dipinto.

L’opera infatti, pur non potendosi considerare di scuola rinascimentale, denota pur sempre un sintomo di cambiamento; con essa la pittura sarda della fine del XVI secolo comincia ad intraprendere la strada del rinnovamento e questo contribuisce a dare all’opera una maggiore importanza artistica e culturale.


LA MADONNA DEL LIBRO DEL MAESTRO DI GERGEI

L’influsso del Rinascimento Italiano è maggiormente riscontrabile nell’altra icona situata nella parte destra del presbiterio, accanto alla piccola porta che conduce alla sacristia.

Quest’opera dipinta a tempera e olio su tavola, con una  struttura architettonica evidenziata da una serie di colonne e travature modanate con timpano di chiusura ad imitazione del tempio classico, è attribuita ad ignoto pittore di scuola napoletana, probabilmente seguace di Andrea da Salerno, e denominato dal Delogu “Il Maestro di Gergei”.

In essa si nota infatti una intonazione nuova  che abbandona completamente il decorativismo tardo – gotico e propone motivi desunti dal mondo classico che denotano la conoscenza, da parte dell’autore, delle tendenze artistiche del Rinascimento e delle opere dei “Grandi” della pittura rinascimentale italiana.

La scena della Crocifissione, riprodotta nella parte centrale della cimasa, denota, per esempio, una perfetta conoscenza dell’anatomia del corpo umano ed una padronanza della trattazione plastica, vista nel gioco di luci e ombre, tipica della cultura pittorica del Rinascimento anche maturo.

L’uso del colore in forma decisa, quasi come una scelta cromatica, è riconoscibile in tutta l’opera. La figura posta nel timpano che vuole simboleggiare il Dio eterno e onnipotente, ma anche le immagini, più grandi, dello scomparto mediano che rappresentano San Nicola di Bari,  la Madonna col Bambino e San Bartolomeo, evidenziano i giochi cromatici ottenuti con l’accentuazione o il diradarsi dei colori, specialmente dei rossi e dei blu, che sono tipici della cultura rinascimentale del quattrocento toscano.

Per questi motivi, oltre che per il fatto artistico a sé stante, quest’opera assume un’importanza singolare: essa, proponendo una pittura avanzata rispetto alle istanze di quei tempi, si pone come punto di riferimento, come modello di una nuova scuola , come l’inizio di un’epoca differente nel contesto pittorico della Sardegna.


LA SACRISTIA

Da un piccolo vano posto a destra della grande pala si accede alla grande sacristia (collegata peraltro anche alla cappella destra del transetto per mezzo di una artistica porta in legno); questa, a pianta rettangolare, possiede una interessantissima volta, quasi riassumibile ad un padiglione, con una serie di raccordi perimetrali ad unghia, che influenzano anche la grande cornice d’imposta.

La sacristia è arricchita da una bellissima paratora, in legno massiccio intagliato, che evidenzia l’importanza che un tempo aveva la sede rettorale di Gergei.

All’interno delle varie cappelle e in sacristia si possono ammirare altre opere, di dimensioni più piccole ma di notevole importanza artistica, che rappresentano dipinti appartenenti a diverse scuole pittoriche.

La chiesa è infine ricca di oggetti d’argento di un certo pregio e valore artistico, per lo più realizzati da maestri dell’arte argentaria tra i più noti dell’Isola artigiano locale.

 

 

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